Il suo nome è Aboubakar. Di cognome fa Keita e dall’agosto scorso è nei ranghi dell’Orvietana Calcio. Essendo nato nel 2002, ha da poco compiuto i 17 anni, di cui uno e mezzo trascorso, viaggiando dalla Guinea alla nostra penisola. La sua città d’origine è Conakry, capitale del paese africano, già colonia inglese, in seguito ceduto dai britannici ai francesi. Conakry è posta su un’isola, collegata alla terraferma da un istmo. Abou non sa nuotare, pur essendo nato sull’oceano ed è giunto in Italia con il classico barcone che trasporta profughi. Ha lasciato il suo paese insieme al fratello, poco più grande, in Guinea sono rimasti i genitori e altri tre fratelli più piccoli. Fin da bambino nutriva la passione per il calcio, giocato in strada o su campetti improvvisati. “Giocavamo cinque contro cinque che era il massimo consentito dalle dimensioni del terreno, provando a imitare le gesta dei campioni che potevamo seguire dalle immagini”. Il campionato italiano era tra i più seguiti, i suoi amici lo avevano soprannominato Del Piero. “Correvamo tanto, non avevamo istruttori e tutto quello che ne veniva fuori era il risultato di quanto proposto dalle riprese televisive”. Il suo italiano è ancora scarso, parla correttamente il francese, lingua ufficiale della Guinea, oltre al malinkakan (malinchè), in uso nella regione in cui è nato. Partì da quel lembo dell’Africa occidentale nel 2016 e, con un viaggio abbastanza avventuroso e difficile, giunse al punto d’imbarco, una volta superati vincoli e difficoltà varie. A differenza di altri non aveva paura del mare, essendo nato sull’oceano e, auspice un po’ d’incoscienza giovanile, non temeva la traversata. Che, però, riservò a lui e al fratello un tiro mancino. Quando il barcone si trovava più vicino all’Italia che al punto di partenza ecco il forfait del motore che costringe equipaggio e passeggeri a un faticoso rientro alla base. La seconda volta andò meglio ed eccolo nel Bel Paese, alla ricerca della gloria sportiva. Perché la massima aspirazione del diciassettenne rimane quella di sfondare nel mondo del calcio, cercando di arrivare al professionismo. Si rende conto, però, che manca ancora molto. Ha capito che il suo bagaglio tecnico è troppo povero e va affinato, che il modo di stare in campo è completamente diverso dalle scorrazzate cui era abituato sui campetti di Conakry. Giunto a Orvieto, è entrato a far parte del gruppo gestito dalla cooperativa Quadrifoglio, dove, fortuna per lui, opera Luca Cupello, direttore sportivo della Romeo Menti di Allerona Scalo. Il quale, ha subito intravisto, per i due ragazzi, le possibilità perché potessero dare sfogo alla loro forte attrazione. Il fratello maggiore era ed è rimasto nella rosa della prima squadra, Abou, dopo un anno di juniores passato a far impazzire i difensori avversari è stato chiamato alla corte dell’Orvietana. Per qualche motivo, che preferisce mantenere segreto, non ha ancora informato i genitori del suo impegno sportivo. “Lo farò in seguito- taglia corto – però ho informato i mie fratelli”. Quando non è impegnato con il calcio, svolge, assieme ad altri giovani migranti, attività di giardinaggio. In Guinea era arrivato fino al diploma di terza media. Non possiede, di conseguenza, competenze specifiche per altri tipi di lavoro, pur rendendosi conto che il pallone è un sogno, destinato, molte volte, a rimanere nel cassetto. Ma vuole provarci e si impegna in tal senso. Fiorucci lo sta utilizzando quasi a tempo pieno, domenica scorsa ha mancato il tocco vincente che poteva cambiare la partita di Narni. “Ho sbagliato il tocco – ammette mestamente”. Ha capito che il cammino potrebbe essere lungo e difficile, ma, dopo quanto passato nel lungo viaggio, non ha timori e vuole provarci. Afferma di stare molto bene a Orvieto, altrettanto riguardo Allerona, dove ha conservato diverse amicizie e si trova molto bene con i compagni dell’Orvietana. De Vitis, il centrale difensivo, ha preso a chiamarlo Gervinho, subito imitato da tutti gli altri. Il nomignolo è bene augurante. Auguriamo ad Aboubakar che funzioni.

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