Tra i tornei del Grande Slam quello di Wimbledon è il più prestigioso, il più elegante e, per molti, il più difficile da conquistare. Si gioca a Londra, sul verde impeccabile dell’All England Club, dove il bianco è obbligatorio e il silenzio del pubblico è parte integrante del gioco.

Vincere significa entrare in una dimensione “altra” della carriera tennistica. Nel grande mondo di Wimbledon quote e tifo non vanno quasi mai dalla stessa parte, perché, come vedremo, per prepararsi a questo torneo, serve qualcosa in più di essere un campione del tennis.

Il segreto dell’erba e la preparazione fisica

Wimbledon si gioca su prati specificamente seminati per resistere all’usura. Fino al 2001 si usava un mix di ryegrass e fescue, poi sostituito da solo perennial ryegrass per una maggiore compattezza e durata. In particolare, l’erba è tagliata a soli 8 mm: lo spessore perfetto per ottenere la velocità voluta e saltelli regolari, ma che richiede manutenzione quotidiana.
I giardinieri curano i campi 365 giorni all’anno, monitorando tempo, danni alle radici e vento per mantenere il prato “vivo” durante le due settimane di match intensi.
Cosa significa per il tennista? Adattarsi ogni giorno: dalla gestione delle ginocchia per i rallentamenti e cambi di ritmo, al potenziamento dei quadricipiti per sopportare il rimbalzo basso e tagliente.

Strategia e adattamento tecnico

L’erba è la superficie più veloce del circuito: in media, i giocatori più potenti hanno aumentato gli ace da 7,6 a 13,4 per match dal 1991 al 2024.
Serve & volley, slice, passanti tesi e drop shot funzionano meglio qui che sulla terra o sul cemento. Il campo è fisso: la velocità dell’erba aggiunge vantaggio ai giocatori rapidi a leggere lo spin e i rimbalzi imprevedibili.
La presenza del tetto e della luce artificiale dal 2009 (Centre Court) e 2019 (Court N.1) richiede una routine visiva e mentale differente.
E per i tifosi cosa comporta? In genere i favori del pronostico non contano. Un outsider ben preparato può sorprendere: è il caso di Ivanišević nel 2001 (wild card e n. 125 del mondo) o Vondroušová nel 2023 (non testa di serie, n. 42).

Mentalità e pressione da tradizione

Wimbledon è sinonimo di tradizione: il bianco obbligatorio, il silenzio religioso sugli spalti, il falco Rufus che sorvola i campi al mattino. Tutto concorre a creare un’atmosfera unica, dove ogni dettaglio è parte di un rituale antico. Ma è vero anche che il Torneo è cambiato nel tempo.
Negli ultimi anni sono arrivate novità importanti: il tetto retraibile sul Centre Court per evitare le interruzioni per pioggia, l’abolizione del “middle Sunday” come giorno di riposo, e persino la possibilità per le tenniste di indossare biancheria colorata sotto le divise bianche. Piccoli segni di cambiamento che non intaccano l’identità profonda del torneo, ma lo rendono più vicino al mondo di oggi.
Resta il torneo che ha il potere di elevare una carriera o di segnare una consacrazione definitiva. Non è raro che un tennista con una sola vittoria a Londra venga ricordato più di chi ha collezionato successi altrove: campioni come Federer, Djokovic, Navratilova o Serena Williams hanno scritto le pagine più importanti della loro leggenda proprio su questo prato.
Chi trionfa qui ha superato una prova completa: fisica, mentale, emotiva. Wimbledon non si vince con la sola classifica, ma con un livello di profondità che altri tornei non richiedono. Per questo, ogni edizione è come un esame a sé, che seleziona solo chi sa reggere il confronto con la sua gloriosa storia.

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