Marchegiani (Orvietana): "Sento di poter fare di più"
di Roberto Pace, 24/04/2025 15:37
Michele Marchegiani, laziale per origini e fede calcistica, è nella rosa dell’Orvietana da quindici mesi e qualcosa. Arriva da Tarano, comune della Sabina descritto come gioiello tutto da scoprire perché custodisce bellezze naturali e di cultura. Luogo nel quale risiede, anche se, il calcio lo ha già portato sovente abbastanza lontano. E’ del segno dell’Ariete che generalmente sforna persone, passionali, testarde, impulsive, competitive che mettono, inoltre, grande entusiasmo in tutto ciò cui s’avvicinano, oltre a essere, generalmente molto fisiche. Tutte peculiarità, in alcune delle quali Michele si riconosce. A quattordici anni fece la prima valigia, destinazione Terni, colori rossoverdi. Tre anni, da lui definiti speciali alla sua formazione calcistica pur non sufficienti a proseguire la carriera nella città dell’acciaio. In casa Marchegiani, il calcio può considerarsi il quinto componente la famiglia formata dai genitori, Emanuele e Maria Sole e dalla sorella Elena, di due anni più piccola ma già adesso più calda di Michele nella passione per la Lazio: “Sarò sempre grato alla mia famiglia che non ha mai fatto pesare i miei desideri e aver messo il mio sogno davanti a tutto il resto”.
Dopo Terni, che, tutto sommato, lo faceva sentire ancora a casa, una nuova avventura lo porta in quel di Lecco. Michele, parlando del suo modo di vedere il calcio, quando serve, sa essere pure critico. Sulla chiusura anticipata del rapporto con il club sul lago di Como si accolla la responsabilità per non essere riuscito – affermazione testuale – a dare tutto ciò che, potenzialmente, sentivo avere dentro. Tornato a Tarano riprende gli studi, peraltro mai abbandonati. Non ha alcun rammarico: “ Quando sai di aver fatto tutto per il meglio, la tua coscienza a posto – spiega”.
E’, però, consapevole di come, nella vita, sia tutto perfettibile. Torna a portare quale esempio l’esperienza ternana “lì stavo bene e ho fatto benissimo”, su quella lecchese” lassù non mi è riuscito lasciare il segno” e associa l’avventura attuale in biancorosso: “Sono qui da gennaio dell’anno scorso, auspice un ottimo rapporto con il direttore, Severino Capretti. Giorni fa, ragionando con lui, ho detto la stessa cosa. Vale a dire, quello che, finora, avete visto di me non mi rappresenta del tutto. Sento di poter fare di più”. Va sottolineato, come il periodo in biancorosso non sia stato proprio nelle grazie della dea bendata. Realizza il primo goal al Muzi “di piattone” - come ama ricordare, - sfruttando lo stupendo e nella stessa misura difficile servizio di Proia, preludio per qualcosa di grosso nella stagione successiva. Se non che, ecco la frattura della clavicola durante una seduta mattutina, pagata cara con due mesi abbondanti di stop, dopo essere andato di nuovo in goal, partita con l’Ostiamare, nella stessa porta e ancora con il piattone. C’è la pubalgia in agguato, a rallentarlo sul più bello proprio quando era rientrato nel gruppo dei più utilizzati da Rizzolo.
Un ariete, come detto, è testardo. Riprende il percorso verso il completo recupero, forte delle sue convinzioni: “ Nel calcio intervengono tanti fattori che incidono sul percorso di ognuno. Alla mia età, c’è il contingentamento degli under , il ruolo in cui giochi perché capita di rado trovare un giovane attaccante che parta titolare, poi gli infortuni che non sono prevedibili. Ciò detto, continuo ad allenarmi e lo faccio con egual passione e spirito di sacrificio”.
Ha toccato il fattore “ruolo”. Quale può essere il numero che più si sente addosso:
“Fin da ragazzo ho avuto la maglia numero undici. Da quando sono a Orvieto ho la diciannove. Diciamo che adesso lo preferisco”. Certo, ma il diciannove corrisponde all’undici?
“Mi trovo bene nel ruolo di ala destra. Sono un mancino, è il mio piede preferito e per noi sinistri è spettacolare rientrare verso il centro e attaccare la porta. Mi adatto e non escludo anche altre posizioni, comunque collegate alla fase offensiva”.
Da studente, sta per tagliare il traguardo della maturità scientifica (Scienze Umane) e non ha ancora chiaro l’eventuale percorso universitario. Fra spostamenti a Orvieto, partite e allenamenti è un po’ dura, ma, si può fare: “ Certamente. Comporta qualche privazione ma, dopo il calcio, è un obiettivo da raggiungere costi quel che costi”.
Cosa mi racconti dell’ambiente Orvietana:
“Ho vissuto e sto vivendo due momenti completamente diversi. Da quello dello scorso anno, con la salvezza conquistata all’ultima giornata grazie alla serietà e all’impegno a quello attuale dove vediamo i play off a due partite dalla fine. A Orvieto, sul campo è cambiato molto, in meglio. Fuori è rimasto quello che era, tranquillo, sereno, composto di persone felici per farti sentire sempre a casa tua in ogni momento. Per me si è trattato dell’esatto contrario di quando ero a Lecco. Ho ritrovato la voglia, gli stimoli, la serenità che avevo perduta”.
Però, forse, ti piacerebbe giocare un po’ di più:
“Dipendesse da me farei carte false. Ma, sono pronto ad accettare qualsiasi decisione del mister, del quale sono a completa disposizione, dai tre ai 90 minuti”.
Michele, diciannovenne, ha già collezionato tre anni di fidanzamento con Alice. La ragazza, di Magliano Sabina, non ha ancora la patente. E’, comunque, molto brava nell’organizzarsi per seguire le partite di Michele ed è facile trovarla a fare tifo sugli spalti.
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